Cosa possiamo attenderci dai dati inflazionistici?
Da mesi ormai gli “inseparabili compagni di viaggio” dei mercati possono essere facilmente identificati nel conflitto ucraino e nell’inflazione che ha raggiunto livelli che ormai avevamo dimenticato da decenni. Abbiamo diffusamente analizzato nei mesi scorsi le cause, anticipando anche cosa sarebbe accaduto nei mercati finanziari, ma in ogni caso, approfittiamo dell’appuntamento di oggi per condividere ulteriori spunti di riflessione. Il dato elevato relativo all’Indice dei prezzi al consumo americano dello scorso mese, ha ulteriormente accentuato il calo dei mercati, poiché i timori inflazionistici e di stagflazione adesso cominciano a “spaventare” anche gli investitori. La scelta inevitabile da parte della BCE di intraprendere una politica monetaria restrittiva, ha determinato a fronte di un rialzo dei rendimenti delle obbligazioni europee anche un sell off dei Bund tedeschi.
È opportuno sottolineare che, per quanto apparentemente dolorosa, la scelta della Federal Reserve in realtà vada letta positivamente, perché un intervento l’intervento tempestivo di una Banca centrale rassicura i mercati dai timori inflazionistici. Non a caso il mercato sconta già da mesi un irrigidimento della politica monetaria. Anche gli studenti universitari sono consapevoli che l’inflazione rappresenta un fenomeno retrospettivo. Nessuno dei rialzi dei tassi ha già avuto effetto, ma la fiducia dei consumatori è già in flessione, determinando così un impatto sulla domanda, quando finalmente sembrava che si fossero trovate soluzioni ai rallentamenti della supply chain. La reazione del mercato è stata talmente forte da averci riportati ai livelli precedenti il rimbalzo di maggio. La conseguenza del rialzo del tasso di riferimento è rappresentata da un nuovo pricing del rischio e la curva dei Treasury è nuovamente invertita, con la paura di un ingresso in recessione che si è preso prepotentemente la scena.
Come abbiamo più volte sottolineato, riteniamo che i prossimi mesi saranno ancora caratterizzati da una forte volatilità, sia a causa dell’inflazione che continuerà a rimanere elevata, sia perché la crescita comincerà a rallentare ed infine perché i timori di stagflazione stanno diventando sempre più forti. Prevediamo che i dati del secondo trimestre dell’anno continueranno ad essere deboli, con una inevitabile compressione dei margini ed un forte aumento delle scorte, con conseguente diminuzione dei prezzi. I consumatori tra l’altro, stanno già mutando alcune loro abitudini destinando più attenzione alla spesa per i servizi rispetto a quella verso i beni durevoli. L’inflazione dei servizi inizierà quasi sicuramente a diminuire alla fine della stagione estiva quando i consumatori inizieranno a dare priorità alla spesa. Le catene di approvvigionamento, come scrivevamo in precedenza, stanno da qualche mese mostrando segni di miglioramento. Possiamo quindi attenderci una progressiva flessione dell’inflazione nel terzo o quarto trimestre dell’anno. Al momento, per quanto riguarda i mercati obbligazionari preferiamo guardare a titoli a tasso fisso di qualità, prestando molta attenzione alla duration e alla copertura del credito. Siamo dell’idea che che la maggior parte delle notizie negative probabilmente sia già stata scontata. Come abbiamo già sottolineato è positivo che la FED abbia già aumentato i tassi d’interesse. L’Europa ovviamente sconta un contesto economico meno solido, dovuto alla maggiore vulnerabilità energetica e alla debolezza dei Paesi periferici. I dati saranno guidati in particolare dall’inflazione delle materie prime, dei carburanti e dei generi alimentari, ma il contesto economico generale è ancora solido e l’occupazione è ancora su ottimi livelli.
Uno sguardo anche all’oro. Normalmente rappresenta una copertura contro i timori inflazionistici, ma in realtà il “costo/opportunità “che nasce dal non possedere asset come, ad esempio i Treasury a breve termine, sta diventando elevato.
Probabilmente questa è la ragione per cui l’oro ha registrato una performance meno forte del previsto. In passato, in uno scenario di aumento dell’inflazione e volatilità, di elevato rischio di crisi geopolitiche l’oro sarebbe stato una delle asset class più performanti, ma ad oggi, secondo Bloomberg, quando i tassi statunitensi saliranno in modo aggressivo, l’oro potrà subire pressioni. Veniamo infine alla valuta statunitense. Tutti gli analisti concordano nel vedere un dollaro forte. La politica della BCE, potrebbe stabilizzare il cambio euro/dollaro per qualche mese, ma non ci aspettiamo un dollaro si indebolisca fino a quando non avremo superato l‘incertezza sull’inflazione e sui tassi di interesse. Se la Fed dovesse diventare più aggressiva sui tassi, allora il dollaro si rafforzerebbe.