L’inflazione USA è vicina ai massimi?
Quando la scorsa estate la Fed disquisiva “amabilmente” della ipotetica transitorietà dell’inflazione, noi in queste pagine evidenziavamo, numeri alla mano, di quanto in realtà fosse improbabile questa ipotesi. Negli ultimi mesi, come ben sappiamo, i corsi dei titoli azionari sono scesi bruscamente anche a causa dell’aumento dell’inflazione e del calo delle aspettative di crescita. Diversi economisti e noi ne condividiamo l’opinione, ritengono che l’inflazione americana rimarrà nel corso dei prossimi mesi intorno ai livelli attuali prima di diminuire alla fine dell’autunno. Contestualmente, l’inflazione europea raggiungerà il suo picco come pure nel Regno Unito, dove l’impennata dell’inflazione è stata particolarmente forte. Riteniamo quindi che l’inflazione globale raggiungerà il suo picco in ottobre. È inoltre degno di nota il fatto che anche l’inflazione implicita del mercato abbia iniziato a ridimensionarsi. Sebbene l’inflazione in tutti questi paesi rimarrà probabilmente alta e al di sopra dell’obiettivo per diversi mesi, potrebbe allo stesso tempo essere un catalizzatore per una svolta sostenibile dei prezzi azionari. La storia suggerisce che il picco dell’inflazione nominale è probabilmente una condizione più necessaria che sufficiente perché i titoli azionari trovino il loro minimo.
Dal 1950 ad oggi, le statistiche evidenziano che l’inflazione americana ha superato la soglia del 3% complessivamente 13 volte. Allo stesso tempo l’indice S&P 500 è solitamente sceso in corrispondenza di questi picchi, proprio come è successo negli ultimi mesi, salvo poi riprendersi dai minimi. Detto questo, i più forti rimbalzi dopo i picchi d’inflazione hanno beneficiato di almeno uno di tre fattori: una brusca accelerazione della crescita economica, valutazioni basse e tassi in calo.
Se guardiamo i dati relativi alle precedenti crescite economiche, sorprendentemente il picco della inflazione è spesso seguito da una debolezza delle prospettive economiche, con l’ISM che continua a scendere, come è ad esempio successo negli anni 1950/60 e a metà degli anni 80. Ma i picchi di inflazione che si sono rivelati dei buoni momenti per entrare sul mercato – dicembre 1974, marzo 1980 e ottobre 1990 – si sono tutti concentrati in corrispondenza o intorno ai minimi dell’economia. Ad esempio, da un minimo di 31, l’indice ISM è salito di 24 punti nei 12 mesi successivi al dicembre 1974 e il mercato, a quel punto, si è ripreso nettamente. I primi anni ’90 hanno visto un forte aumento dell’ISM dopo il picco dell’inflazione e l’indice S&P 500 ha registrato un’altra forte ripresa. Al contrario, durante due delle tre volte in cui sarebbe stato un chiaro errore acquistare azioni comprare azioni al picco dell’inflazione – dicembre 1969, gennaio 2001 e luglio 2008, è stato perché l’economia era in recessione o stava per entrarvi (1969 e 2008).
I picchi d’inflazione che si sono verificati in un contesto di tassi in calo sono stati di solito anche un buon momento per comprare azioni. L’ottobre 1990 è un esempio perfetto di tutti e tre i fattori a sostegno del mercato. L’S&P 500 è salito del 30% nei 12 mesi successivi 12 mesi dopo il picco, mentre l’ISM è salito di quasi 10 punti, il rendimento degli UST a 2 anni è sceso di quasi 200 pb e il punto di partenza per le valutazioni era un P/E a 10x. Ma un picco dell’inflazione non è sufficiente da solo a far salire le quotazioni perché anche il livello dei prezzi e la volatilità dell’inflazione sono importanti. In passato, nei periodi in cui la inflazione era più alta e più volatile le valutazioni azionarie erano generalmente più basse, in parte a causa dell’incertezza in termini di politica monetaria . Se l’inflazione dovesse diminuire rispetto al suo massimo, se dovesse mantenersi più alta e volatile rispetto all’ultimo ciclo, è probabile che le valutazioni azionarie, soprattutto negli Stati Uniti, non saliranno a livelli massimi. In effetti, durante gli anni 70, con l’inflazione elevata e volatile , le valutazioni medie delle azioni statunitensi e britannici erano relativamente basse, rispettivamente 12x e 11,7x (trailing earnings). La relazione tra le azioni europee e l’inflazione è particolarmente complessa. Da un lato, l’economia è più vulnerabile all’aumento dei costi energetici (il principale motore dell’inflazione negli ultimi mesi), data la dipendenza dell’Europa da fonti energetiche estere. Dall’altro lato, i mercati europei presentano un minor numero di aziende a forte crescita (che sono vulnerabili all’aumento dei tassi). Detto questo, in prossimità dei massimi dell’inflazione, il profilo dei rendimenti azionari europei è simile a quello degli Stati Uniti. I mercati europei sono generalmente deboli nei mesi che precedono il picco dell’inflazione, ma in media salgono di più dopo i massimi raggiunti dall’inflazione stessa. I titoli azionari europei in realtà superano tipicamente le azioni statunitensi nei 12 mesi successivi al picco dell’inflazione statunitense, il che può essere una conseguenza del beta più elevato delle azioni europee. Anche il mercato azionario del Regno Unito tende a salire dopo il picco dell’inflazione, anche se non sovraperforma le azioni statunitensi, probabilmente a causa del beta più basso e della relativa resistenza nel periodo precedente al picco dell’inflazione, forse perchè gli indici azionari del Regno Unito includono un gran numero di titoli legati al settore delle materie prime.
Se l’inflazione dovesse toccare quindi i massimi, quali sarebbero le aree del mercato che ne beneficerebbero maggiormente? La relazione tra le diverse tipologie di azioni e inflazione non si è mantenuta stabile nel tempo. Nell’ultimo decennio, l’aumento dell’inflazione è stato associato alla sovraperformance dei titoli ciclici e value, ma non è stato così di recente (ad eccezione dei titoli commodity). Ciò è dovuto al fatto che l’inflazione elevata è stata sempre più guidata dalla domanda, agisce come un limite alla crescita ed impedisce alle banche centrali di allentare le politiche anche nel caso in cui la crescita stia rallentando. Un picco dell’inflazione dovrebbe probabilmente avvantaggiare i titoli azionari ciclici, nonché i titoli bancari e dei consumi discrezionali, le cui correlazioni con l’inflazione sono recentemente diventate fortemente negative.